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 SUTRA 18 Guarda con amore un oggetto qualsiasi. Non passare a un altro oggetto. Qui, nel mezzo dell’oggetto, la beatitudine. 19 Senza un supporto per i piedi o per le mani, siediti unicamente sulle natiche. All’improvviso, la centratura. 20 In un veicolo in movimento, oscillando ritmicamente, sperimenta. Oppure in un veicolo fermo, dondolandoti in invisibili circoli che rallentano. 21 Fora una parte qualsiasi della tua forma colma di nettare con uno spillo, e con gentilezza penetra la foratura e consegui la purezza interiore. Il corpo umano è un meccanismo misterioso: il suo funzionamento è bidimensionale. Per venire all’esterno, la tua consapevolezza passa attraverso i sensi per incontrare il mondo, per incontrare la materia. Ma questa è solo una dimensione delle funzioni del tuo corpo; ne esiste anche un’altra: ti conduce all’interno. Se la consapevolezza va all’esterno, tutto ciò che conosci è materia, se va all’interno, tutto ciò che conosci è non-materia. In realtà non c’è alcuna divisione: materia e non-materia sono una cosa sola. Ma questa realtà – X – se viene guardata con gli occhi, con i sensi, appare come materia. Questa stessa realtà, quella X, se viene guardata dall’interno – non attraverso i sensi, ma attraverso la centratura – appare come non-materia. La realtà è una sola, ma poi guardarla in due modi: attraverso i sensi, oppure non attraverso i sensi. Tutte queste tecniche di centratura in realtà servono a condurti a un punto in te stesso dove i sensi non funzionano, dove vai al di là dei sensi. Ci sono tre cose che devono essere comprese, prima di penetrare le tecniche. Innanzitutto quando vedi attraverso gli occhi, non sono gli occhi a vedere: essi sono solo delle aperture per vedere. Colui che vede per loro tramite non è gli occhi, colui che vede sta dietro agli occhi. Ecco perché puoi chiuderli e tuttavia vedere sogni, visioni, immagini. Colui che vede sta dietro ai sensi; attraverso i sensi si muove nel mondo. Ma se chiudi i sensi, colui che vede rimane all’interno. Se colui che vede, questa consapevolezza, è centrato, all’improvviso diventa consapevole di se stesso. E quando sei consapevole di te stesso, sei consapevole di tutta l’esistenza, perché tu e l’esistenza non siete due cose distinte. Ma per diventare consapevoli di se stessi è necessario centrarsi, e per centratura intendo la tua consapevolezza non divisa in molte direzioni, la tua consapevolezza che non si sposta altrove, che rimane in se stessa… senza muoversi, radicata, senza alcuna direzione; che rimane lì semplicemente all’interno. Sembra difficile restare all’interno, perché persino il pensiero stesso per la nostra mente diventa un andare fuori. Cominciamo a pensare: il “come” comincia a pensare. Pensare all’interno, all’interiorità, è per noi ancora un pensiero, e ogni pensiero in quanto tale appartiene all’esteriorità, mai all’interiorità, perché nel centro più interno tu sei semplicemente consapevolezza. I pensieri sono come le nuvole. Sono venuti a te, ma non ti appartengono. Ogni pensiero viene dall’esterno, dal di fuori. Nell’interiorità non puoi produrne neppure uno. Ogni pensiero viene dall’esterno; non c’è possibilità di creare un pensiero nell’interiorità. I pensieri sono come nuvole che vengono a te. Perciò quando pensi non sei nell’interiorità, ricordatelo. Pensare è essere all’esterno. Perciò anche se stai pensando all’interiorità, all’anima, al Sé, non sei nell’interiorità. Tutti questi pensieri sul Sé, sull’interiorità, sulla dimensione interiore, sono venuti dall’esterno: non ti appartengono. A te appartiene solo la semplice consapevolezza, simile al cielo, senza nubi. Che cosa fare quindi? Come acquistare internamente questa semplice consapevolezza? Poiché direttamente non puoi fare nulla, si usano degli espedienti. Sono necessari degli stratagemmi attraverso i quali tu venga gettato all’interno, ributtato in te stesso. Questo centro ha bisogno sempre di un approccio indiretto: non puoi avvicinarti direttamente. Cerca di capire bene questo punto, perché è assolutamente fondamentale. Stavi giocando, e in seguito dici di aver provato una grande gioia: “Mi sentivo molto felice, e ne ho provato veramente piacere”. Si diffonde intorno una sottile felicità. Qualcuno ti sta ascoltando: anche lui cerca la felicità, ognuno la cerca. Dice “Allora devo giocare, perché giocando si raggiunge la felicità, e io devo raggiungerla”. Anche lui gioca, ma il suo interesse diretto sono la felicità, la gioia, il piacere. La felicità è una conseguenza. Se sei presente nel tuo gioco in modo totale, assorto, ne risulta la felicità, ma se sei costantemente alla ricerca della felicità, non accade nulla. Il gioco è il punto di partenza. Stai ascoltando della musica. Qualcuno dice: “Mi sento colmo di beatitudine”. Ma se sei costantemente e direttamente interessato alla beatitudine, non sarai neppure in grado di ascoltare. Quell’interesse, quell’avidità di beatitudine, diventerà un ostacolo. La beatitudine è una conseguenza: non puoi impadronirtene direttamente. E’ un fenomeno così delicato che dovrai avvicinarti solo in modo indiretto. Fai un’altra cosa ed ecco che accade. Non puoi farlo direttamente. Tutto quanto è bello, tutto quanto è eterno, è così delicato che se cerchi di impadronirtene direttamente, viene distrutto. Questo e ciò che si intende con le tecniche e gli espedienti. Queste tecniche continuano a dirti di fare qualcosa: non è importante ciò che fai, ma il risultato. Ma la tua mente si deve preoccupare del fare, della tecnica, non del risultato. Il risultato accade: necessariamente, ma sempre in modo indiretto. Perciò non preoccuparti del risultato; preoccupati della tecnica. Falla nel modo più totale possibile, e dimenticati del risultato. Accade, ma tu puoi diventare un ostacolo. Se ti importa solo il risultato, allora non si verificherà mai. E diventa molto strano. Della gente viene a dirmi: “Tu dici che se facciamo la meditazione, ‘questo’ si verificherà, ma noi la stiamo facendo e ‘questo’ non si verifica”. E hanno ragione, ma si sono dimenticati della condizione. Devi dimenticarti del risultato: solo allora accade. Devi essere totalmente nell’atto. Quando più sei totale nell’atto, tanto prima si verifica il risultato. Ma è sempre il risultato. Ma è sempre indiretto. Con esso non puoi essere aggressivo o violento, perché è un fenomeno così delicato che non può essere attaccato. Viene a te solo mentre sei occupato da qualche altra parte in modo così totale che il tuo spazio interiore è vuoto. Tutte queste tecniche sono indirette. Non esiste una tecnica diretta per gli eventi spirituali. Ora la tecnica – la sesta tecnica per la centratura: “Guarda con amore un oggetto qualsiasi. Non passare a un altro oggetto. Qui, nel mezzo dell’oggetto, la beatitudine”, Vorrei ripeterla: “Guarda con amore un oggetto qualsiasi. Non passare a un altro oggetto…”. Non spostarti a un altro oggetto. “Qui, nel mezzo dell’oggetto, la beatitudine.” “Guarda con amore un oggetto qualsiasi…”. “Con amore” è la chiave. Hai mai osservato un oggetto con amore? Puoi dire di sì solo perché non sai che cosa significhi: puoi aver guardato un oggetto con bramosia, questa è un’altra cosa, del tutto diversa – diametralmente opposta. Perciò come prima cosa, la differenza: cerca di percepire la differenza. Osservi un bel viso, un bel corpo, e senti che li stai guardando con amore. Ma perché li stai guardando? Forse vuoi sfruttarli, vuoi ottenere qualcosa da loro? In questo caso non è amore, è bramosia. Di fatto stai pensando a come usarli, a come possederli, a come far sì che questo corpo diventi uno strumento per la tua felicità. Bramosia significa come usare qualcosa per la tua felicità; amore significa che non è nulla che riguardi la tua felicità. In realtà, bramosia significa come ottenere qualcosa da un oggetto e amore significa come dare qualcosa. Sono due cose diametralmente opposte. Se vedi un bel volto e provi amore, l’immediata sensazione nella tua consapevolezza sarà come fare qualcosa per renderlo felice, come fare qualcosa per rendere felice quell’uomo o quella donna. Non ci si occupa di se stessi: ci si occupa dell’altro. In amore l’importante è l’altro; nella bramosia l’importante sei tu. Nella bramosia pensi a come rendere l’altro il tuo strumento; in amore a come diventare uno strumento. Nella bramosia sacrificherai l’altro; in amore te stesso. Amore significa dare; bramosia significa ottenere. L’amore è un abbandono; la bramosia è un’aggressione. Quello che dici non ha senso: persino nella bramosia parli in termini d’amore. Il tuo linguaggio non ha molto senso, perciò non ingannarti. Osserva dentro di te, e vedrai che non una sola volta nella tua vita hai guardato con amore qualcuno o qualcosa. La seconda distinzione da fare; questo sutra dice: “Guarda con amore un oggetto qualsiasi”. In realtà anche se guardi con amore qualcosa di materiale, di inanimato, quell’oggetto diventerà una persona. Se lo guardi con amore, il tuo amore è la chiave per trasformare qualunque cosa in persona. Se guardi un albero con amore, diventa una persona. Proprio l’altro giorno stavo parlando con Vivek, e le dicevo che quando ci fossimo trasferiti nel nuovo ashram avremmo dato un nome a ogni albero, perché ogni albero è una persona. Hai mai sentito di qualcuno che dia un nome agli alberi? Nessuno lo fa perché nessuno li ama. Se le cose fossero diverse, un albero diventerebbe una persona. Allora non è più solo in una folla: diventa unico. Tu dai nomi ai cani e ai gatti. Quando dai un nome a un cane lo chiami Tigre o qualcosa del genere, il cane diventa una persona. Allora non è più solo un cane tra altri: ha una personalità. Hai creato una persona. Ogni volta che guardi qualcosa con amore, questa diventa una persona. Ed è vero anche il contrario: ogni volta che guardi con bramosia una persona, quella persona diventa un oggetto, una cosa. Ecco perché gli occhi pieni di bramosia sono odiosi: non piace a nessuno diventare una cosa. Quando guardi in questo modo tua moglie o qualunque altra donna o uomo, l’altro si sente ferito. Che cosa stai facendo realmente? Stai trasformando una persona, una persona viva in uno strumento morto, stai pensando a come “usarla”, e in quel caso la persona viene uccisa. Ecco perché gli occhi pieni di bramosia sono odiosi, brutti. Quando guardi qualcuno con amore, l’altro ne viene innalzato: diventa unico, all’improvviso diventa una persona. Una persona non può venire sostituita, mentre una cosa sì. “Cosa” significa ciò che è sostituibile; “persona”, ciò che non può essere sostituito. Una persona è unica; una cosa non lo è. L’amore rende unica qualunque cosa. Ecco perché senza amore non ti senti mai una persona. A meno che qualcuno non ti ami profondamente, non senti mai di avere alcuna unicità. Sei solo un numero, un dato in una folla, sei intercambiabile. Per esempio, se sei impiegato in un ufficio, insegnante in una scuola o professore in un’università, sei rimpiazzabile. Puoi essere sostituito in qualunque momento perché vieni solo usato per svolgere una mansione: hai un significato e un’importanza funzionale al tuo compito. Se sei un impiegato, qualcun altro può svolgere facilmente il tuo lavoro. Il lavoro non ti aspetterà. Se in questo istante muori, subito qualcuno ti sostituirà e il meccanismo continuerà. Eri solo un numero: un altro numero andrà altrettanto bene. Eri solo utile. Ma ecco che qualcuno s’innamora di questo impiegato o di questo professore. All’improvviso l’impiegato non è più tale: è diventato una persona unica. Se muore, l’amata non potrà rimpiazzarlo: è insostituibile. Allora il mondo intero potrà continuare nello stesso identico modo, ma l’innamorata non potrà essere la stessa. Questa unicità, questo essere una persona, accade attraverso l’amore. Questo sutra dice “Guarda con amore un oggetto qualsiasi”. Non fa alcuna distinzione tra un oggetto e una persona. Non ce n’è bisogno, perché quando guardi con amore, qualunque cosa diventerà una persona. Lo sguardo stesso cambia, trasforma. Forse non hai osservato che cosa succede quando guidi una certa macchina, diciamo una Fiat. Ci sono migliaia, migliaia e migliaia di Fiat esattamente uguali, ma la tua macchina, se ne sei innamorato, diventa unica, una persona. E’ insostituibile perché si crea una relazione: ora senti questa automobile come una persona. Se qualcosa non va… un leggero rumore, lo senti. E le macchine sono molto capricciose. Conosci il carattere della tua auto, quando si sente bene e quando si sente male. Poco a poco la macchina diventa una persona. Perché? Se c’è una relazione d’amore, ogni cosa diventa una persona. Se c’è una relazione di bramosia, una persona diventa una cosa. E questo è uno degli atti più disumani che l’uomo possa compiere: rendere qualcuno una cosa. “Guarda con amore un oggetto qualsiasi…”. Che cosa si deve fare dunque? Per guardare con amore, come prima cosa dimenticati di te stesso completamente. Guarda un fiore e lascia che sia presente. Tu diventa completamente assente: senti il fiore, e un amore profondo fluirà dalla tua consapevolezza verso il fiore. E fai sì che la tua consapevolezza sia ricolma di un solo pensiero: come aiutare questo fiore a fiorire di più, a diventare più bello, e più gioioso. Che cosa posso fare? Non importa che tu possa fare qualcosa, oppure no. Ciò che importa è la sensazione di cosa puoi fare: questo dolore, questa fitta relativa a cosa puoi fare per rendere questo fiore più bello, più vivo, più fiorito. Fa in modo che questo pensiero si riverberi in tutto il tuo essere, che ogni fibra del tuo corpo e della tua mente lo senta, e verrai trafitto da un’estasi: il fiore diventerà una persona. “Non passare a un altro oggetto…”. E non puoi passare a un altro oggetto: se sei una relazione d’amore, non puoi andartene. Se amo qualcuno, ti dimentichi dell’intera folla; affiora un unico volto, non vedi nessun altro: gli altri visi sono presenti sullo sfondo, alla periferia della tua consapevolezza. Non esistono. Sono solo delle ombre. Rimane un unico volto. Se ami qualcuno rimane solo quel volto, perciò non puoi muoverti. Non passare a un altro oggetto, resta con uno solo: la rosa, il viso della persona amata. Rimani lì amando, fluendo, con un unico cuore, con un unico pensiero: “Che cosa posso fare per rendere l’oggetto del mio amore più felice, più gioioso?”. “Qui, nel mezzo dell’oggetto, la beatitudine.” In quel modo, tu sarai assente, non ti preoccuperai più per te stesso, non sarai più egoista, non penserai più in termini di piacere personale, di gratificazione. Ti sarai completamente dimenticato di te stesso, e penserai solo all’altro. L’altro è diventato il centro del tuo amore; la tua consapevolezza fluirà verso di lui. Con profonda compassione, con un profondo sentimento di amore, pensi: “Che cosa posso fare per rendere felice l’amato?”. In questo stato, all’improvviso, qui, “nel mezzo dell’oggetto, la beatitudine”, come una conseguenza, verrai raggiunto da un’improvvisa beatitudine. All’improvviso sarai nel centro del tuo essere. Sembra paradossale perché questo sutra dice di dimenticarti completamente di te stesso, di non essere centrato in te stesso, di muoverti completamente verso l’altro. Si narra che il Buddha dicesse sempre che quando preghi, devi pregare per gli altri – mai per te, altrimenti la preghiera è del tutto inutile. Un uomo andò da lui e disse: “Accolgo il tuo insegnamento, ma c’è una sola cosa che mi è molto difficile accettare. Tu dici che quando preghiamo, non dobbiamo pensare a noi stessi, non dobbiamo chiedere nulla che riguardi noi stessi. Dobbiamo dire: ‘Qualunque sia il risultato della mia preghiera, che quel risultato venga ripartito tra tutti. Se accade una beatitudine, che venga ripartita tra tutti”. L’uomo proseguì: “Questo mi va bene, ma posso fare solo un’unica eccezione? Non al mio dirimpettaio: è mio nemico. Che questa beatitudine venga distribuita a tutti salvo che al mio vicino di casa”. La mente è centrata in se stessa, perciò il Buddha disse: “La tua preghiera non serve a nulla. Non ne risulterà nulla a meno che tu sia pronto a dare tutto, a distribuire tutto, allora tutto sarà tuo”. Nell’amore ti dimentichi di te stesso. Sembra paradossale: quando e come avverrà questa centratura? Preoccupandoti dell’altro, della felicità dell’altro, quando ti dimentichi completamente di te stesso e rimane solo l’altro, all’improvviso sei colmato di gioia, accade la beatitudine. Come mai? Perché, quando non ti preoccupi di te stesso, diventi vacuo, vuoto: si crea lo spazio interiore. Quando la tua mente è totalmente preoccupata dell’altro, nell’interiorità diventi senza mente, non ci sono più pensieri. E quindi questo pensiero: “In che modo posso essere d’aiuto? In che modo posso creare una maggiore gioia? Come può l’altro essere più felice?” non può continuare, perché in realtà non c’è nulla che tu possa fare. Questo pensiero diventa un segno d’arresto. Non c’è nulla che possa fare. Cosa puoi fare? Se pensi di poter fare qualcosa, stai ancora pensando in termini di ego. Con l’oggetto d’amore si diventa totalmente impotenti, ricordatelo. Quando ami qualcuno, ti senti totalmente impotente. Questa è l’agonia dell’amore: non riuscire a sentire cosa fare. Si vorrebbe fare tutto, si vorrebbe dare l’intero universo all’amante o all’amata – ma che cosa si può fare? Se pensi di poter fare questo o quello, non sei ancora in una relazione d’amore. L’amore è del tutto impotente, assolutamente impotente, e in questa impotenza risiede la sua bellezza, perché in quella condizione di impotenza ti arrendi. Ama qualcuno e ti sentirai impotente; odia qualcuno e sentirai che puoi fare qualche cosa. Ama qualcuno e sei assolutamente impotente: che cosa puoi fare? Tutto sembra insignificante, senza senso. Non è mai abbastanza. Non ci si può far nulla. E quando una persona sente che nulla può essere fatto, si sente impotente. Quando si vorrebbe fare tutto e si sente che non si può far nulla, la mente si ferma. In questa condizione di impotenza, accade la resa. Sei vuoto. Per questa ragione l’amore diventa una profonda meditazione. In realtà, se ami qualcuno, non è necessaria nessun’altra meditazione. Ma poiché nessuno ama, sono necessari centododici metodi, e persino questi possono non bastare. L’altro giorno era presente un tale. Mi diceva. “Mi dà molta speranza. Per la prima volta ha sentito da te che esistono centododici metodi. Questo mi dà molta speranza, ma, in un certo senso, nella mia mente entra anche lo scoraggiamento. Solo centododici metodi? E se con me questi centododici metodi non funzionassero, non ce n’è per caso un altro?”. E ha ragione. Ha ragione! Se con te questi centododici metodi non funzionano, non c’è niente da fare. Dunque, come lui suggerisce, la speranza è seguita da uno scoraggiamento. Ma in realtà i metodi sono necessari perché manca il metodo fondamentale: se riesci ad amare non è necessario alcun metodo. L’amore in sé è il metodo più grande, ma l’amore è difficile, in un certo senso impossibile. Amore significa porre te stesso al di fuori della tua consapevolezza e mettere qualcun altro nello stesso posto in cui esisteva il tuo ego. Amore significa sostituire te stesso con qualcun altro, come se ora tu non fossi e ci fosse solo l’altro. Jean-Paul Sartre dice che l’altro è l’inferno, e ha ragione. Ha ragione perché per te l’altro crea solo un inferno. Ma ha anche torto perché, se l’altro può essere un inferno, può essere anche il paradiso. Se vivi con bramosia, l’altro è un inferno perché stai cercando di uccidere quella persona, stai cercando di renderla una cosa. Perciò anche quella persona reagirà e cercherà di fare di te una cosa, e questo crea un inferno. Perciò ogni marito e ogni moglie si creano a vicenda un inferno, perché ciascuno cerca di possedere l’altro. Il possesso è possibile solo con le cose, mai con le persone. Puoi solo essere posseduto da una persona, non puoi mai possederla. Puoi possedere una cosa, ma tu cerchi di possedere le persone. Attraverso questo sforzo, le persone diventano cose. Se io ti rendo una cosa, tu reagirai. In quel caso sono tuo nemico e tu, a tua volta, cercherai di fare di me una cosa. Questo crea l’inferno. Sei seduto da solo nella tua stanza e poi, all’improvviso, ti accorgi che qualcuno ti sta spiando dal buco della serratura. Osserva minuziosamente ciò che accade. Hai notato qualche cambiamento? E perché ti senti in collera con questo curiosane? Non ti sta facendo nulla, sta solo sbirciando. Perché ti arrabbi? Ti ha trasformato in una cosa. Ti sta osservando; ha fatto di te una cosa, un oggetto. Questo ti mette a disagio. Lo stesso accadrà a lui se ti avvicini al buco della serratura e ci guardi dentro. L’altro si sentirà a pezzi, scosso. Solo un istante prima era un soggetto: lui era l’osservatore e tu l’osservato. Ora improvvisamente è stato preso in trappola. E’ stato osservato mentre ti osservava, e ora è diventato lui una cosa. Quando qualcuno ti osserva, all’improvviso avverti che la tua libertà è stata turbata, distrutta. Questa è la ragione per la quale non puoi fissare qualcuno, a meno che tu non ne sia innamorato. Quello sguardo fisso diventa brutto e violento. Se sei innamorato, uno sguardo intenso e fermo è meraviglioso, perché non sta trasformando l’altro in una cosa. Allora puoi guardare direttamente negli occhi, puoi penetrare profondamente negli occhi dell’altro. Non lo stai trasformando in una cosa. Anzi, attraverso li tuo amore il tuo sguardo sta facendo di lui una persona. Ecco perché solo gli sguardi fissi degli amanti sono belli; altrimenti tutti gli altri sono brutti. Gli psicologi dicono che c’è un tempo limite – e lo sapete tutti, osservate e saprete quale sia il tempo limite – per guardare fissamente negli occhi di un estraneo. C’è un tempo limite: un istante in più e l’altro si arrabbierà. In pubblico uno sguardo di sfuggita può essere perdonato, perché sembra che stai solo vedendo, non guardando. Uno sguardo è una cosa profonda. Se ti vedo solo di sfuggita non si crea alcuna relazione. Oppure mi guardi mentre passo, solo mentre passo, di sfuggita: non c’è intenzione d’offendere, perciò va tutto bene. Ma se all’improvviso ti fermi e mi guardi, diventi un osservatore: il tuo sguardo mi turberà e mi sentirò insultato. Che cosa stai facendo? Io sono una persona, non una cosa. Non è questo il modo di guardare. E’ per questo che i vestiti sono diventati così importanti. Solo quando ami qualcuno puoi facilmente essere nudo, perché non appena sei nudo tutto il tuo corpo diventa un oggetto. Qualcuno potrebbe guardare il tuo corpo, e se non è innamorato di te trasformerà in un oggetto tutto il tuo corpo, il tuo intero essere. Ma quando sei innamorato di qualcuno, puoi essere nudo senza sentire di esserlo. Anzi, ti piacerebbe essere nudo perché ti piacerebbe che questo amore trasformante mutasse il tuo corpo intero in una persona. Ogni volta che trasformi qualcuno in una cosa, quell’altro è immorale. Ma se sei colmo d’amore, in quel momento d’amore questo fenomeno questa beatitudine, può verificarsi con ogni oggetto, accade. “Nel mezzo dell’oggetto, la beatitudine.” All’improvviso ti sei dimenticato di te stesso: era presente l’altro. Quando poi arriva il momento giusto, quando non sei più presente, quando sei assolutamente assente, anche l’altro diventerà assente, e tra voi due accade la beatitudine. Questo è ciò che sentono gli amanti. Quella beatitudine è dovuta anche a una meditazione ignota, inconscia. Quando ci sono due amanti, un po’ alla volta diventano entrambi assenti. Rimane una pura esistenza senza ego… senza conflitto, solo una comunione. In quella comunione ci si sente beati. E’ errato dedurre che l’altro ti abbia donato quella beatitudine. Quella beatitudine è venuta perché, senza saperlo, sei caduto in una profonda tecnica meditativa. Puoi farlo consapevolmente, e quando lo fai consapevolmente penetra ancor più in profondità perché non sei ossessionato dall’oggetto. Questo avviene ogni giorno. Se ami qualcuno ti senti beato non a causa di lui o di lei, ma a causa dell’amore. Come mai? Perché questo fenomeno accade, questo sutra accade. Ma in quel caso ne sei ossessionato. Pensi che sia a causa di A, a causa della prossimità di A, della vicinanza a causa dell’amore di A, che questa beatitudine accade. Perciò pensi: “Devo possedere A perché, senza la sua presenza, potrei non essere capace di ottenere di nuovo questa beatitudine”. Diventi geloso. Se qualcun altro possedesse A, lui sarebbe beato e tu ti sentiresti infelice, perciò vuoi togliere ad A ogni possibilità di essere posseduto da qualcun altro. A dovrebbe essere posseduto solo da te perché, grazie a lui, hai potuto gettare un’occhiata in un mondo diverso; ma, non appena cerchi di possedere, distruggerai tutta la bellezza dell’intero fenomeno. Quando l’amore viene posseduto, l’amore se n’è andato. Allora l’amante è solo una cosa. Puoi usarlo, ma la beatitudine non ritornerà, perché quella beatitudine veniva quando l’altro era una persona. L’altro era fatto, creato: tu creavi la persona nell’altro, e l’altro creava la persona in te. Nessuno era un oggetto. Eravate entrambi delle soggettività che si incontravano: due persone che s’incontrano, non una persona e una cosa. Ma non appena possiedi, questo diventerà impossibile. E la mente cercherà di possedere perché pensa in termini di bramosia: “Un giorno mi è accaduta la beatitudine, perciò mi deve accadere ogni giorno. Quindi devo possedere”. Ma la beatitudine accade perché non esiste possesso. E di fatto, la beatitudine non accade a causa dell’altro, ma a causa tua. Accade perché sei totalmente assorbito nell’altro. Può capitare con una rosa, con una roccia, con gli alberi, con qualunque cosa. Una volta che conoscerai il modo in cui si verifica, può capitare ovunque. Se sai che tu non sei e, con amore profondo, la tua consapevolezza si muove verso l’altro, verso gli alberi, il cielo, le stelle, chiunque; quando tutta la tua consapevolezza è indirizzata verso l’altro, ti lascia, si allontana da te; in quell’assenza dell’io risiede la beatitudine. La settima tecnica di centratura: “Senza un supporto per i piedi o per le mani, siediti unicamente sulle natiche. All’improvviso, la centratura”. Questa tecnica è stata usata per secoli in Cina dai taoisti, ed è una tecnica meravigliosa, una delle più facili. Provaci: “Senza un supporto per i piedi o per le mani, siediti unicamente sulle natiche. All’improvviso, la centratura”. Che cosa si deve fare? Ti occorreranno due requisiti; il primo, un corpo molto sensibile, che tu non hai. Hai un corpo morto: è solo un peso da portare, non è sensibile. Quindi, innanzitutto devi rendere il corpo sensibile, altrimenti questa tecnica non funzionerà. Perciò come prima cosa ti parlerò di come rendere sensibile il corpo, in particolare le natiche perché, in genere, sono la parte più insensibile del corpo. Devono esserlo, perché su di esse stai seduto tutto il giorno. Se fossero troppo sensibili, sarebbe difficile. Perciò le natiche sono insensibili: lo sono necessariamente. Sono insensibili proprio come le piante dei piedi. Stai continuamente seduto su di esse, eppure non te ne accorgi mai, L’hai mai sentito prima? Ora puoi sentire di essere seduto sulle natiche, ma non l’hai mai sentito prima, e sei stato seduto sulle natiche per tutta la vita, ma non te ne sei mai reso conto. La loro funzione è tale per cui non possono essere molto sensibili. Quindi, come prima cosa devi renderle sensibili. Prova questo metodo, è semplicissimo, e può essere applicato a qualsiasi parte del corpo. In questo modo, il corpo diventerà sensibile. Siediti rilassato su una sedia. Chiudi gli occhi e percepisci la mano sinistra, oppure destra, una delle due. Dimentica il resto del corpo; senti solo la mano sinistra, quanto più la sentirai, tanto più diventerà pesante. Continua a sentire la mano sinistra. Dimenticati il resto del corpo. Continua a sentire la mano sinistra come se fossi solo la mano sinistra. La mano continuerà a diventare sempre più pesante. Mentre diventa sempre più pesante, continua a sentire che diventa sempre più pesante. Poi cerca di percepire cosa stia accadendo alla mano. Prendi nota di qualsiasi cosa: ogni sensazione, ogni contrazione, ogni piccolo movimento; prendi nota mentalmente di tutto ciò che accade. Continua per circa tre settimane: in qualsiasi ora del giorno, fallo per dieci, quindici minuti. Senti solo la mano sinistra e dimentica il resto del corpo. Alla fine avrai una mano sinistra, o una mano destra, nuova, estremamente sensibile al tatto, e sarai consapevole delle sensazioni anche più leggere e delicate. Se ci riesci con la mano, prova con le natiche: chiudi gli occhi e senti che esistono solo le natiche, tu non ci sei più. La tua intera consapevolezza deve andare alle natiche. Non è difficile. Se ci provi, avrai una sensazione meravigliosa. E la sensazione di vita che proviene dal corpo, di per se stessa riempie la beatitudine. Poi, quando riesci a sentire le natiche ed esse riescono a diventare molto sensibili, quando riesci a percepire tutto ciò che vi accade all’interno – un lieve movimento, un leggero dolore o qualunque sensazione - puoi osservare e puoi conoscere. A quel punto la tua consapevolezza è unita alle natiche. Devi però partire con la mano, perché è molto più sensibile, ed è più facile. Una volta che hai acquistato confidenza, quando riesci a rendere sensibile la mano, questa confidenza ti aiuterà a rendere sensibile le natiche. Quindi avrai bisogno di almeno sei settimane prima di poter praticare questa tecnica, tre settimane per la mano e tre per le natiche, solo per renderle sempre più sensibili. Stando sdraiato sul letto, dimenticati dell’intero corpo. Ricordati solo che non rimangono altro che due natiche. Percepisci le sensazioni tattili: le lenzuola, il freddo o il tepore che aumenta lentamente, percepiscilo. Sdraiati nella vasca da bagno, dimenticati il corpo; ricordati solo delle natiche, sentile. Stai in piedi contro un muro con le natiche che lo toccano: senti il muro freddo. Stai in piedi con la tua amata, con tua moglie o tuo marito, natiche contro natiche: senti l’altro attraverso le natiche. Questi esercizi servono solo a “creare” le tue natiche, a farle arrivare al punto in cui possano iniziare a sentire. Poi, metti in pratica questa tecnica: “Senza un supporto per i piedi o per le mani…”. Siediti per terra, senza un supporto per i piedi o per le mani, siediti unicamente sulle natiche. Padmasana, la posizione del Buddha, va bene. Va bene anche siddhasana o qualunque comune asana, ma sarebbe meglio non usare le mani. Resta solo sulle natiche: stai seduto solo sulle natiche. A quel punto chiudi gli occhi e senti le natiche a contatto con il suolo. Poiché saranno sensibili, sentirai che una preme più dell’altra. Sei appoggiato su di una sola natica, e l’altra preme di meno. Sposta il peso fino a metterti in equilibrio. Spostati da una natica all’altra e pian piano crea un equilibrio. Mettersi in equilibrio significa che entrambe le natiche sentono nello stesso modo. Il tuo peso entrambe le natiche è esattamente lo stesso. E quando le natiche saranno sensibili, non sarà difficile: lo sentirai. Allorché saranno in equilibrio, “all’improvviso, la centratura”. Grazie all’equilibrio verrai ributtato all’improvviso al centro del tuo essere, nell’ombelico, e ti sentirai centrato internamente. Ti dimenticherai delle natiche, del corpo. Verrai sospinto nel tuo centro interiore. Per questo dico che i centri non sono importanti, ma che lo è la centratura: che accada nel cuore, nella testa, nelle natiche o in qualunque altra parte del corpo. Hai visto dei Buddha seduti. Non te lo saresti mai immaginato che stessero mettendo in equilibrio le loro natiche. Vai in un tempio e vedi Mahavira seduto, il Buddha seduto: non te lo saresti mai immaginato che questo stare seduti potesse essere un mettere in equilibrio le natiche. Lo è, e quando saranno in equilibrio, all’improvviso quell’equilibrio ti dà centratura. L’ottava tecnica di centratura: “In un veicolo in movimento, oscillando ritmicamente, sperimenta. Oppure in un veicolo fermo, dondolandosi in invisibili circoli che rallentano”. E’ la stessa cosa in situazioni diverse. “In un veicolo in movimento…”. Stai viaggiando su un treno, oppure su un carro tirato da buoi; quando questa tecnica fu elaborata questo era il solo mezzo di trasporto. Ti stai spostando su un carro tirato da buoi su una strada indiana, ancora oggi le strade sono le stesse. Ma quando ti sposti, tutto il tuo corpo si muove. Allora è inutile. “In un veicolo in movimento, oscillando ritmicamente…”.Oscilla ritmicamente. Cerca di capirlo: è molto sottile. Quando sei su un carro tirato da buoi o su un veicolo qualunque, opponi resistenza: il veicolo oscilla a sinistra, tu oscilli a destra per metterti in equilibrio, altrimenti cadresti. Quindi opponi costantemente resistenza. Seduti su un carro trainato da buoi, lotti contro i suoi movimenti. Si muove da una parte, e tu devi muoverti dall’altra. Per questo ci si stanca a stare seduti su un treno, senza saperlo si fa uno sforzo immane; inconsciamente si oppone una resistenza continua. Non resistere più: questa è la prima cosa. Se vuoi mettere in pratica questa tecnica, non opporre resistenza. Segui piuttosto i movimenti, oscilla, diventa parte integrante del mezzo che ti trasporta, qualsiasi cosa faccia, falla anche tu: i bambini li fanno naturalmente, per questo non si stancano mai viaggiando. Punam è da poco giunta da Londra con i suoi due figli, e prima di partire temeva che potessero stare male, che potessero stancarsi a causa del lungo viaggio. Stanca lo divenne lei, e loro fecero il viaggio ridendo. Durante il viaggio, divenne completamente esausta. Quando è entrata nella mia stanza era stanca morta, mentre i due piccoli cominciarono subito a giocare. Dopo un viaggio di diciotto ore da Londra a Bombay non erano neppure un po’ stanchi. Come mai? Perché non sanno ancora come opporre resistenza. Perciò un ubriaco può stare seduto su un carro tirato da buoi per tutta la notte, e al mattino sarà più fresco che mai, mentre tu non lo saresti. Accade perché un ubriaco non può opporre resistenza. Si muove insieme al carro, non c’è alcuna lotta. Non c’è una lotta. Lui è una cosa sola con il carro. “In un veicolo in movimento, oscillando ritmicamente…”. Perciò fa una cosa: non resistere. In secondo luogo, crea un ritmo nei tuoi movimenti. Rendili un’armonia stupenda. Dimenticati della strada; non maledire la strada e il governo: dimenticali. Non maledire il bue e il carro, o il conducente: dimenticali. Chiudi gli occhi: non opporre resistenza; muoviti aritmicamente e crea una musica nei tuoi movimenti: Fa che sia una danza. “In un veicolo in movimento, oscillando ritmicamente, sperimenta.” Il sutra dice che l’esperienza verrà a te. “Oppure in un veicolo fermo…”. Non chiederti dove puoi procurarti un carro tirato da buoi, non ingannarti, perché il sutra dice: “Oppure in un veicolo fermo, dondolandoti in invisibile circoli che rallentano”. Puoi semplicemente stare seduto e dondolarti, in cerchi sempre più piccoli. Prima disegna un cerchio grande, poi continua riducendo il diametro, sempre più piccolo, sempre più piccolo, finché il corpo non si muove più, visibilmente, ma all’interno tu senti un movimento sottile. Inizia con cerchi molto ampi, tenendo gli occhi chiusi; altrimenti, quando il corpo si arresta ti fermerai anche tu. A occhi chiusi, seduto semplicemente, oscilla in cerchi molto ampi. E continua fino a ridurre sempre di più l’ampiezza delle oscillazioni. In apparenza sembrerai fermo; nessuno sarà in grado di discernere che ti stai ancora muovendo. Ma interiormente avvertirai un movimento sottile. Ora il corpo non si muove, solo la mente. Continua a rendere il movimento sempre più lento e sperimenta: quello diventerà una centratura. In un veicolo, in moto, un movimento ritmico che non oppone resistenza creerà in te una centratura. Gurdjieff creò molte danze per queste tecniche: lavorava su questa tecnica. Tutte le danze che usava nella sua scuola erano in realtà un oscillatore circolarmente. Tutte le danze erano in tondo; un semplice roteare, rimanendo consapevoli, rendendo gradualmente i circoli sempre più piccoli. Venne un momento in cui il corpo si ferma, ma la mente all’interno continua a muoversi, a muoversi. Se hai viaggiato in treno per venti ore, quando giungi a casa, se chiudi gli occhi avrai la sensazione di stare viaggiando ancora. Sei ancora in viaggio. Il corpo si è fermato, ma la mente sta ancora sentendo il veicolo. Perciò metti semplicemente in pratica questa tecnica. Gurdjieff creò danze fenomenali, stupende. In questo secolo fece miracoli, non come quelli di Satya Sai Baba: quelli non sono miracoli; ogni mago da baraccone riuscirebbe a farli. Ma Gurdjieff fece veramente dei miracoli: preparò un gruppo di un centinaio di persone alla danza meditativa, e stava rappresentando quella danza per la prima volta per un pubblico a New York. Sul palcoscenico c’erano un centinaio di persone che roteavano. Persino le menti di coloro che erano fra il pubblico cominciarono a roteare: c’erano un centinaio di danzatori che roteavano in tuniche bianche. Quando lo indicava con i movimenti della mano, essi roteavano, e non appena diceva di fermarsi cadeva un silenzio di tomba. Quello era un arresto per il pubblico, non per i danzatori, perché il corpo può fermarsi all’istante, ma la mente accoglie dentro di sé il movimento: continua senza smettere. Era bello anche da vedere, perché improvvisamente un centinaio di persone diventavano inerti come statue. Creava anche uno shock nel pubblico, perché improvvisamente un centinaio di movimenti – di movimenti splendidi, movimenti ritmici – si fermavano. Mentre li stavi guardando che si muovevano, roteavano, danzavano, all’improvviso i danzatori si fermavano. Allora si arrestavano anche i tuoi pensieri. Molti a New York sentivano che era uno strano fenomeno: i loro pensieri si arrestavano immediatamente. Ma per i danzatori la danza continuava all’interno, e i circoli diventavano sempre più piccoli, finché non diventavano centrati. Capitò un giorno che, danzando, arrivassero proprio all’orlo del palcoscenico. Ci si aspettava, si supponeva, che Guardjirff li avrebbe fatti fermare appena prima che, danzando, cadessero giù dal palco sul pubblico. Un centinaio di danzatori erano proprio sull’orlo del palcoscenico. Ancora un passo e sarebbero caduti giù nella sala. L’intera sala si aspettava che improvvisamente Gurdjieff dicesse di fermarsi, ma lui si voltò per accendere il suo sigaro. Voltò la schiena ai danzatori per accendere il suo sigaro e l’intero gruppo di cento danzatori cadde giù dal palcoscenico per terra, sul nudo pavimento di pietra. L’intero pubblico di alzò in piedi. Urlavano, gridando e pensavano che molti avrebbero avute delle ossa rotte: fu un tale fragore. Ma neppure uno s’era fatto male; non ci fu neppure una sola contusione. Chiesero a Gurdjieff che cosa fosse accaduto. Nessuno s’era fatto male, e la caduta era stata tale che sembrava impossibile. La ragione era solo questa: in quell’istante non erano veramente nei propri corpi. Stavano rallentando il loro volteggiare interiore. E quando Gurdjieff vide che avevano completamente dimenticato il loro corpo, lasciò che cadessero. Se hai completamente dimenticato il corpo, non c’è resistenza, e un osso si rompe a causa della resistenza. Se stai cadendo, opponi resistenza: vai contro l’attrazione della forza di gravità. Il problema non è la gravità, ma opporre resistenza. Se riesci a cadere insieme alla gravità, se riesci a cooperare con essa, non potrai farti male. Questo sutra. “In un veicolo in movimento, oscillando aritmicamente, sperimenta. Oppure in un veicolo fermo, dondolandoti in invisibili circoli che rallentano”. Puoi farcela. Non c’e alcun bisogno di un veicolo. Rotea proprio come fanno i bambini. Quando la tua mente impazzisce e senti che stai per cadere, non fermarti: continua! Anche se cadi, non preoccuparti. Chiudi gli occhi r rotea. La tua mente comincerà a roteare e tu cadrai per terra. Quando il tuo corpo è caduto, all’interno, senti! Il roteare continuerà. E si avvicinerà sempre più e, all’improvviso, sarai centrato. I bambini di divertono moltissimo a roteare perché ne ottengono una profonda eccitazione. I genitori non permettono mai ai loro figli di roteare su se stessi. Non va bene: dovrebbe venire loro permesso, anzi, dovrebbero venire incoraggiati a farlo. E se riesci a renderli consapevoli anche del loro roteare interiore, puoi insegnare loro a meditare attraverso quel volteggiare su se stessi. Ne ricavano piacere perché hanno la sensazione di essere senza corpo. Quando roteando su se stessi all’improvviso diventano consapevoli che il lori corpo sta roteando, ma loro no. I bambini sentono all’interno una centratura che noi non riusciamo a percepire così facilmente, perché i loro corpi e le loro anime sono ancora un po’ separati: c’è una cesura. Quando entri nel ventre di tua madre, non puoi entrare subito totalmente nel corpo; ci vuole tempo: Anche quando un bambino nasce, non è ancora assolutamente fissato, la sua anima non è assolutamente fissata al corpo: ci sono delle fessure. Ecco perché ci sono molte cose che non riesce a fare: il suo corpo è pronto a farle ma lui non riesce. Se hai prestato attenzione, forse avrai notato che i neonati non riescono a vedere con entrambi gli occhi: vedono sempre con un occhio solo. Se fai attenzione, noterai che, quando osservano e vedono qualcosa, non riescono a vederla con due occhi. Guardando sempre con un occhio solo: un occhio diventa più grande. La pupilla di un occhio diventerà più grande, e l’altra rimarrà piccola. Non sono ancora fissati: la consapevolezza di un neonato non è ancora fissata: è allentata. Un po’ alla volta si fisserà e, allora, guarderà con due occhi. Un neonato non riesce a percepire il proprio corpo e quello degli altri come diversi. E’ difficile. Non è ancora fissato, ma un po’ alla volta la fissazione si verificherà. Questa meditazione cerca di creare di nuovo una cesura, in modo che tu possa esistere non come solidamente fissato al corpo. Questa è la ragione per la quale senti: “Io sono il corpo”. Solo se riesci a creare una cesura, potrai avere la sensazione reale di non essere il corpo, ma qualcosa al di là. L’oscillare e il dondolarsi sono utili: possono creare una cesura. La nona tecnica di centratura: Fora una parte qualsiasi della tua forma colma di nettare con uno spillo, e con gentilezza penetra la foratura e consegui la purezza interiore”. Questo sutra dice: Fora una parte qualsiasi della tua forma colma di nettare…”. Il tuo corpo non è solo un corpo: è ricolmo di te, e quel “tu” è il nettare. Prova a forare il tuo corpo; quando lo fori, tu non vieni perforato, però percepisci quella foratura come se lo fossi: per questo senti dolore. Se riesci a diventare consapevole che solo il corpo viene forato, non tu, invece del dolore sentirai beatitudine. No occorre usare uno spillo: si può usare una qualsiasi situazione della giornata, oppure creare una situazione specifica e farne una meditazione. Nel tuo corpo c’è un dolore. Fa’ una cosa: dimentica l’intero corpo. Concentrati solo sulla parte dolorante, e noterai un fenomeno strano. Quando ti concentri su quella parte dolorante, senti che si restringe. Prima senti che ti fa male l’intera gamba. Quando ti concentri, senti che non si tratta dell’intera gamba. Quando ti concentri, senti che non si tratta dell’intera gamba: era esagerato, era solo il ginocchio. Concentrati di più e sentirai il dolore non in tutto il ginocchio ma solo in un punto minuscolo. Concentrati di più su quel punto minuscolo, dimenticati l’intero corpo. Chiudi semplicemente gli occhi e continua a concentrarti per scoprire dove sia il dolore. Continuerà a restringersi: l’area diventerà sempre più piccola e verrà il momento in cui sarà solo una punta di spillo. Continua a fissare il punto, e all’improvviso anche quel punto scomparirà, e sarai colmato di beatitudine. Come mai accade? Perché tu e il tuo corpo siete due cose distinte, non una cosa sola. Chi si concentra sei tu; il corpo è l’oggetto su cui ti concentri. Quando ti concentri la separazione si amplia, l’identificazione viene infranta. Per concentrarti devi muoverti all’interno, allontanandoti dal corpo: per mettere a fuoco il punto in cui senti dolore, te ne devi allontanare. Questo allontanamento crea la spaccatura. E allorché ti sei totalmente concentrato sul dolore, dimentichi ogni identificazione e ti scordi che sei tu a provare dolore. Ora sei l’osservatore e il dolore è da qualche altra parte. Stai osservando il dolore, non lo stai provando. Questo cambio dalla sensazione all’osservazione crea la spaccatura. E quando la spaccatura è più grande, all’improvviso ti dimentichi completamente del corpo: sei consapevole solo della consapevolezza. Puoi provare anche questa tecnica: “Fora una parte qualsiasi della tua forma colma di nettare con uno spillo, e con gentilezza penetra la foratura”. Se c’è dolore, prima dovrai concentrarti sull’intera area, poi, poco a poco, arrivare a un punto minuscolo. Non c’è alcuna necessità di aspettare. Puoi usare uno spillo, su una parte sensibile. Sul corpo ci sono molti punti che sono insensibili, non sono utili. Forse non hai mai sentito parlare dei punti insensibili nel corpo. Dai uno spillo a qualcuno, a un tuo amico, poi siediti e digli di forarti la schiena in diversi punti con lo spillo. In molti punti non sentirai dolore. Dirai: “No non mi hai ancora bucato. Non sento alcun dolore”. Quelli sono punti insensibili. Proprio sulle tue guance ci sono due punti insensibili con cui si può provare. Se vai nei villaggi indiani, molte volte durante le feste religiose la gente si trafigge le guance con una freccia. Pare un miracolo, ma non lo è. Le guance hanno due punti insensibili. Se fori questi punti insensibili non uscirà sangue e non ci sarà alcun dolore. Sulla tua schiena ci sono migliaia di punti morti: non riuscirai a sentire alcun dolore. Perciò il tuo corpo ha due tipi di parti: quelle che sono sensibili, vive, e quelle che sono morte. Trova quindi un punto sensibile, dove puoi sentire perfino una leggera pressione. Poi infila lo spillo e “penetra in quella foratura”: questo è l’essenziale, questa è la meditazione. E penetra nella foratura con “gentilezza”. Mentre lo spillo entra nella tua pelle e tu provi dolore, entra anche tu. Non sentire che il dolore sta penetrando dentro di te; non identificarti. Penetra insieme allo spillo. Chiudi gli occhi, osserva il dolore. Mentre il dolore penetra all’interno, anche tu penetra in te stesso. E con lo spillo che ti penetra, la tua mente si concentrerà facilmente. Usa quel punto di dolore, di dolore intenso, e osservalo: ecco cosa significa “con gentilezza penetra la foratura”. “E consegui la purezza interiore.” Se riesci a penetrare osservando, non identificato, in disparte, standotene ben lontano, senza sentire che il dolore ti sta penetrando, ma solo osservando che lo spillo sta bucando il corpo e tu sei un osservatore, conseguirai la purezza interiore, ti sarà rivelata l’innocenza interiore. Per la prima volta diventerai consapevole di non essere il corpo. A quel punto, la tua vita viene completamente trasformata, perché la tua inera vita ruota intorno al corpo. Una volta che sai di non essere il corpo, non puoi continuare questa vita. Manca il centro. Quando non sei più il corpo devi creare una vita diversa. Quella vita è la vita del sannyasin. E’ una vita diversa: il centro ora è diverso. Ora esisterai nel mondo in quanto anima, in quanto atman, non come un corpo. Se esisti come corpo, ti sei creato un mondo diverso di guadagni materiali, di avidità, di gratificazione, di bramosia, di sesso. Ti sei creato intorno un mondo; questo è il mondo orientato verso il corpo. Una volta che sai di non essere il corpo tutto il tuo mondo scompare. Non puoi più sostenerlo. Sorge un altro mondo diverso che ruota attorno all’anima, un mondo di compassione, d’amore, di bellezza, di verità, di bontà, di innocenza. Il centro si è spostato: non è più nel corpo, è nella consapevolezza. Basta per oggi. Il libro dei segreti Osho


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