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LA REALIZZAZIONE DEL SE’ IL BISOGNO FONDAMENTALE


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 DOMANDE: 1 La realizzazione del S’è è un bisogno fondamentale? 2 Per favore spiegaci che cosa sono la contemplazione, la concentrazione e la meditazione. 3 Come può il percorso mentale essere d’aiuto nel conseguimento della nonmente? 4 In che cosa differisce l’esercizio per lo sviluppo del centro dell’ombelico da quello del centro del cuore e della testa? 5 Tutti gli illuminati sono centrati nell’ombelico? Le domande sono molte. La prima: “La realizzazione del Sé è un bisogno fondamentale?”. Innanzitutto cerca di capire cosa si intende per realizzazione del Sé. E’ stato A.H. Maslow a usare questo termine. L’uomo è nato come potenzialità: non è un’attualità, è solo potenziale. L’uomo è nato come possibilità, non come attualità. Può diventare qualcosa. Può realizzare come non realizzare le sue potenzialità. Può sfruttare come non sfruttare l’opportunità e la natura non ti costringe a realizzarti. Sei libero. Puoi scegliere di realizzarti come di non fare nulla al riguardo. L’uomo nasce come seme. Quindi, nessuno è nato già realizzato, ma solo con la possibilità della realizzazione. Se le cose stanno così – e le cose stanno così – la realizzazione del Sé diventa un bisogno fondamentale, perché se non sei realizzato, se non diventi ciò che puoi essere o ciò che sei destinato a essere, se il tuo destino non si compie, se non ti realizzi, se il tuo seme non diventa un albero realizzato, sentirai che ti manca qualcosa. E tutti lo sentono. Questo senso di mancanza in realtà è dovuto al fatto che non ti sei ancora realizzato. In realtà non è che a mancarti sono le ricchezze o una posizione, il prestigio o il potere. Anche se ti venisse dato tutto ciò che chiedi – ricchezze, potere, prestigio, qualunque cosa – avresti questa impressione costante che manchi qualcosa dentro di te, perché questo “qualcosa che manca” non ha alcun rapporto con ciò che è esterno: riguarda la tua crescita interiore. Percepirai questo senso di mancanza a meno che non ti realizzi, se non giungi a una realizzazione, a una fioritura, a un appagamento interiore nel quale senti di essere ciò che dovevi essere. E non potrai distruggere questa sensazione con nessun’altra cosa. Perciò realizzazione del Sé significa che una persona è diventata quello che doveva essere: era nata come seme e ora è fiorita. E’ giunta al suo completo sviluppo, uno sviluppo interiore, è giunta al termine interiore. Non appena senti che tutte le tue potenzialità si sono attuate, sentirai anche l’apice della vita, dell’amore, dell’esistenza stessa. Abraham Maslow, ha anche coniato un altro termine: “Esperienza della vetta”. Quando una persona realizza se stessa, raggiunge un culmine, una vetta di beatitudine. Allora non c’è più smania di nulla: è totalmente appagata da se stessa. Ora non le manca più nulla: non c’è più desiderio, richiesta, movimento. Qualsiasi cosa sia, è totalmente appagata da se stessa. La realizzazione del Sé diventa un’esperienza culminante, e solo un individuo realizzato può vivere esperienze culminanti. Allora qualsiasi cosa tocchi, qualsiasi cosa faccia o non faccia – anche il semplice esistere – per lui è un’esperienza culminante, il semplice esistere è beatitudine. Perciò la beatitudine non riguarda nulla di esterno, è solamente una conseguenza della crescita interiore. Un Buddha è un individuo che ha realizzato se stesso: questa è la ragione per la quale raffiguriamo il Buddha, Mahavira e altri – in sculture, in pitture e in qualsiasi raffigurazione – che siedono su un loto pienamente sbocciato. Questo loto pienamente sbocciato è il culmine della fioritura interiore. Nell’interiorità sono fioriti e sbocciati pienamente. Questa fioritura interiore produce una radiosità, una rugiada di beatitudine che emana costantemente da loro. Basta andare sotto la loro ombra, avvicinarsi a loro, per sentirsi avvolti dal silenzio. C’è un interessante aneddoto su Mahavira. E’ un mito, ma i miti sono affascinanti e possono esprimere molte cose che non potrebbero essere dette in altro modo. Si narra che quando Mahavira si spostava, tutt’intorno a lui, per un raggio di circa quaranta chilometri, tutti i fiori sbocciassero, anche se non era stagione. Questa è solo un’immagine poetica, ma persino una persona che non ha realizzato il Sé, se venisse in contatto con Mahavira, sarebbe contagiata dalla sua fioritura e sentirebbe anche in se stessa una fioritura interiore. Anche se non fosse la stagione giusta per quella persona, anche se non fosse pronta, la rifletterebbe, sentirebbe un’eco. Se Mahavira fosse vicino a qualcuno, quella persona sentirebbe un’eco dentro di sé, e avrebbe una visione fugace di ciò che potrebbe essere. La realizzazione del Sé è il bisogno fondamentale, e quando dico fondamentale, intendo che ti sentiresti incompiuto anche se tutti i tuoi bisogni venissero soddisfatti, tutti accetto questo. Se, al contrario, accadesse la realizzazione del Sé senza che si compisse nient’altro, sentiresti comunque un profondo, totale compimento. Questa è la ragione per la quale il Buddha era un mendicante, eppure un imperatore. Quando s’illuminò, il Buddha andò a Kashi. Il re andò a fargli visita e gli chiese: “Vedo che tu non hai nulla. Sei solo un mendicante, eppure io mi sento un mendicante in confronto a te. Non hai nulla, ma il modo in cui cammini, in cui guardi, in cui ridi, fa sembrare che l’intero mondo sia il tuo regno, e tu non possiedi nulla di visibile, nulla di nulla. Dov’è quindi il segreto del tuo potere? Sembri un imperatore”. In realtà nessun imperatore ha mai avuto un aspetto così regale – come se tutto il mondo gli appartenesse. “Tu sei il re, ma dov’è il tuo potere, la fonte?” E il Buddha disse: “E’ in me. Il mio potere, la fonte del mio potere, tutto quello che senti intorno a me, in realtà è dentro di me. Non ho nulla salvo me stesso, ma questo è sufficiente. Sono realizzato; ora non desidero più nulla. Sono diventato privo di desideri”. In realtà, un individuo che abbia realizzato se stesso diventerà privo di desideri. Ricordati di questo: in genere diciamo che, se diventi privo di desideri, conoscerai te stesso. Ma è più esatto il contrario: se conosci te stesso diventerai privo di desideri. E l’accento del Tantra non è sull’essere senza desideri, ma sull’avere realizzato se stessi. Da questo consegue l’assenza di desideri. Desiderio significa che non sei realizzato interiormente. Ti manca qualcosa, perciò la desideri e continui a saltare da un desiderio all’altro in cerca dell’appagamento. Questa ricerca è infinita, perché un desiderio ne crea un altro. In realtà, un desiderio ne crea dieci. Se ricerchi uno stato di beatitudine senza desideri attraverso dei desideri, non arriverai da nessuna parte. Ma se provi qualcos’altro – metodi per la realizzazione del Sé, per realizzare la tua potenzialità interiore, per attuarla – quanto più ti realizzerai tanto meno desidererai, perché, in realtà, desideri perché sei interiormente vuoto. Quando non sei più vuoto nell’interiorità, smetti di desiderare. Che cosa si deve fare per realizzare il Sé? Ci sono due cose da capire. La prima: realizzazione del Sé non significa che, se diventi un grande pittore, un grande musicista o un grande poeta avrai realizzato te stesso. E’ ovvio che una parte di te sarà realizzata, e anche questo dà una grande soddisfazione. Se hai il talento per diventare un buon musicista, e se lo metti a frutto e diventi musicista, una parte di te sarà compiuta – ma non la totalità. L’umanità che rimane dentro di te resterà incompiuta. Sarai in uno squilibrio: una parte sarà cresciuta e il resto sarà rimasto come una pietra appesa al tuo collo. Guarda un poeta. Quando è in vena poetica sembra un Buddha: dimentica se stesso completamente. E’ come se nel poeta l’uomo comune non ci fosse più. Perciò quando un poeta è in vena, ha una vetta – una vetta parziale. E a volte i poeti hanno visioni fugaci che accadono solo a menti illuminate, come quella del Buddha. Un poeta può parlare come un Buddha. Per esempio Kahlil Gibran: parla come un Buddha, ma non è un Buddha. E’ un poeta, un grande poeta. Perciò, se vedi Kahlil Gibran attraverso la sua poesia, assomiglia al Buddha, a Cristo o Krishna, ma se vai dall’uomo Kahlil Gibran, scoprirai che è una persona comunissima. Parla dell’amore in un modo talmente meraviglioso che, forse, neppure un Buddha potrebbe farlo. Ma un Buddha conosce l’amore con l’intero suo essere. Kahlil Gibran conosce l’amore quando è trasportato dalla poesia. Quando vola, sulla ali della poesia ha delle visioni fugaci dell’amore, intuizioni meravigliose, e le ha espresse con rara penetrazione. Ma se vai a vedere il vero Kahlil Gibran, l’uomo, sentirai una sproporzione. Il poeta e l’uomo sono separati, remoti l’uno dall’altro. Il poeta sembra essere qualcosa che talvolta capita a quest’uomo, ma quest’uomo non è il poeta. Questa è la ragione per la quale i poeti sentono che, quando stanno creando della poesia, è qualcun altro che la sta creando, non sono loro. Si sentono come se fossero diventati veicoli di qualche altra energia, di qualche altra forza. Loro non ci sono più. In realtà hanno questa sensazione perché si è realizzata solo una parte, un frammento di loro, non la totalità. Non hai toccato il cielo: solo un dito ha toccato il cielo, e tu rimani radicato in terra. A volte salti, e per un istante non sei più sulla terra; ti sei beffato della gravità. Ma il momento successivo sei di nuovo per terra. Se un poeta si sente realizzato, avrà delle visioni fugaci – delle visioni fugaci e parziali. Se un musicista si sente realizzato, avrà delle visioni fugaci. Si dice che quando Beethoven era sul palcoscenico, sul podio, era un uomo differente, completamente diverso. Goethe ha detto quando Beethoven era sul podio a dirigere la sua orchestra sembrava un dio. Non si poteva dire che era un uomo comune. Non era affatto un uomo: era sovrumano. Il modo in cui guardava, il modo in cui alzava le mani, era tutto sovrumano. Ma quando scendeva dal podio, era solo un uomo comune, L’uomo sul podio sembrava posseduto da qualcos’altro, come se Beethoven non ci fosse più e qualche altra forza fosse entrata in lui. Sceso dal podio era di nuovo Beethoven, l’uomo. E’ per questo che i poeti, i musicisti, i grandi artisti, la gente creativa sono più tesi: perché hanno due tipi di essere. L’uomo comune non è così teso perché vive sempre in un solo: vive sulla terra; mentre i poeti, i musicisti, i grandi artisti saltano, vanno al di là della gravità. In certi momenti non sono più su questa Terra, non fanno più parte dell’umanità. Diventano parte del mondo dei Buddha – il paese dei Buddha. Poi tornano di nuovo qui. Hanno due punti di esistenza; le loro personalità sono scisse. Perciò ogni artista creativo, ogni grande artista è in un certo senso squilibrato. La tensione è immensa! La frattura, L’intervallo tra questi due tipi di esistenza è grandissimo – insormontabilmente grande! A volte l’artista è solo un uomo comune, a volte diventa simile a un Buddha. E’ diviso tra questi due punti, ma ha delle visioni fugaci. Quando parlo di realizzazione del Sé, non intendo che devi diventare un grande poeta o un grande musicista. Intendo che devi diventare un uomo totale. Non dico un grande uomo perché un grande uomo è sempre parziale. La grandezza in qualcosa è sempre parziale. Una persona continua incessantemente a muoversi in una direzione sola, e rimane la stessa in tutte le altre, è sbilanciata. Quando dico di diventare un uomo totale non intendo che tu diventi un grande uomo, ti dico: “Crea un equilibrio, sii centrato, sii realizzato come uomo – non come musicista, non come poeta, non come artista, sii realizzato come uomo”. Che cosa significa essere compiuti come uomini? Un grande poeta è tale grazie alla sua grande poesia. Un grande musicista è tale grazie alla sua grande musica. Un grande uomo è tale per certe cose che ha fatto: potrebbe essere un grande eroe. Un grande uomo è parziale in ogni direzione. La grandezza è parziale, frammentaria. Ecco perché i grandi uomini devono affrontare un’angoscia maggiore rispetto alle persone comuni. Che cos’è l’uomo totale? Che cosa si intende con essere un uomo intero, un uomo totale? Innanzitutto significa essere centrati, non esistere senza un centro. In questo istante sei qualcosa e l’istante successivo sei qualcos’altro. Le persone vengono da me e in genere chiedo loro: “Dov’è che sentite il vostro centro – nel cuore, nella mente, nell’ombelico – dove? Nel centro sessuale? Dove? Dov’è che sentite il vostro centro?”. Di solito rispondono: “A volte lo sento nella testa, altre nel cuore, altre ancora non lo sento affatto”. Quindi dico loro di chiudere gli occhi di fronte a me e di percepirlo proprio in quell’istante. Nella maggioranza dei casi succede che dicano: “Proprio ora, per un attimo, sento di essere centrato nella testa”. Ma l’istante dopo non sono più lì. Dicono:”Sono nel cuore”. E un momento dopo il centro è già fuggito via, è altrove, nel centro sessuale o da qualche altra parte. In realtà non sei centrato, lo sei solo momentaneamente. Ogni istante ha il suo centro, perciò tu continui a muoverti. Quando la mente funziona, senti che il centro è la testa; Quando sei innamorato, senti che lo è il cuore; quando non stai facendo nulla di particolare, sei confuso: non riesci a trovare dove sia il centro, poiché riesci a farlo solo mentre stai lavorando, mentre stai facendo qualcosa. In quel caso una particolare parte del tuo corpo diventa il centro. Ma tu non sei centrato. Se non fai nulla non puoi trovare il tuo centro dell’essere. Un uomo totale è centrato: qualunque cosa stia facendo, rimane nel centro. Se è la sua mente a funzionare, sta pensando. Il pensare si svolge nella testa, ma lui rimane centrato nell’ombelico; il centro non gli manca mai. Usa la testa, ma non si trasferisce mai nella testa. Usa il cuore, ma non si trasferisce mai nel cuore. Tutte queste cose diventano strumenti, e lui resta centrato. In secondo luogo, un uomo totale è in equilibrio. Ovviamente, quando un individuo è centrato, è anche in equilibrio. La sua vita è un equilibrio profondo e lui non è mai unilaterale, non è mai agli estremi: rimane nel mezzo. Il Buddha lo ha chiamato “la via di mezzo”. Rimane sempre nel mezzo. Un uomo che non è centrato, si sposterà sempre agli estremi. Se mangerà, mangerà molto: s’ingozzerà. Oppure può digiunare, ma per lui è impossibile mangiare nel modo giusto. Digiunare è facile, ingozzarsi va bene. Una persona simile può stare nel mondo, essere impegnata, coinvolta in esso, oppure può rinunciare al mondo – ma non può mai essere equilibrata. Non riesce mai a rimanere nel mezzo, perché, se non sei centrato non sai neppure che cosa significhi “nel mezzo”. Una persona centrata è sempre nel mezzo, mai ad alcun estremo, in ogni cosa. Il Buddha dice che il suo mangiare è un giusto mangiare: non è né ingozzarsi, né digiunare. La sua fatica è una giusta fatica: mai troppa, mai troppo poca. Qualunque cosa sia, è sempre equilibrata. Prima cosa: un individuo che abbia realizzato il Sé sarà centrato. Seconda cosa: sarà equilibrato. In terzo luogo, se queste due cose si verificano – centratura ed equilibrio – ne seguiranno molte altre. L’individuo sarà sempre a suo agio, continuerà a essere a suo agio in qualunque circostanza. Dico qualunque sia la circostanza, senza condizioni, perché un individuo centrato è sempre a proprio agio. Anche se viene la morte, sarà a proprio agio, e la riceverà come si riceve qualunque altro ospite. Se vieni l’infelicità, la riceverà. Qualsiasi cosa accada, non può rimuoverlo dal suo centro. Anche questo essere a proprio agio deriva dall’essere centrati. Per un uomo simile nulla è banale, nulla è grande. Ogni cosa diventa sacra, meravigliosa, santa, ogni cosa! Qualunque cosa faccia, qualunque cosa, è per lui di sommo interesse: come se fosse di assoluto interesse. Nulla è banale. “Questo è banale, questo è grande”. In realtà le cose non sono grandi; e non sono neppure piccole e banali. Il tocco dell’uomo è significativo. Una persona che abbia realizzato se stessa, una persona equilibrata, centrata, trasforma tutto. Il tocco stesso rende grandi le cose. Se osservi un Buddha, vedrai che cammina e ama camminare. Se vai a Bodhgaya dove il Buddha raggiunse l’illuminazione, sulla riva della Niranjana – nel posto in cui era solito sedere sotto l’albero della Bodhi – vedrai che le orme dei suoi passi sono state segnate. Meditava per un’ora e poi passeggiava. Nella terminologia buddista questo viene chiamato chakramana. Si sedeva sotto l’albero della Bodhi, poi camminava. Ma camminava con un atteggiamento sereno, come fosse in meditazione. Qualcuno chiese al Buddha: “Perché lo fai? A volte ti siedi con gli occhi chiusi e mediti, poi cammini”. Il Buddha disse: “Stare seduti per essere in silenzio è facile, perciò cammino. Ma porto dentro di me lo stesso silenzio. Mi siedo, ma interiormente sono lo stesso, silenzioso. Cammino, ma interiormente sono lo stesso silenzioso”. La qualità interiore è la stessa… Un Buddha è lo stesso quando incontra un imperatore e quando incontra un mendicante: ha la stessa qualità interiore. Quando incontra un mendicante non è diverso, quando incontra un imperatore non è diverso: è lo stesso. Il mendicante non è insignificante e l’imperatore non è “qualcuno”: non fa distinzioni. E in realtà, incontrando il Buddha gli imperatori si sono sentiti mendicanti e i mendicanti imperatori. Il tocco, l’uomo, la qualità rimangono gli stessi. Da vivo, ogni giorno al mattino il Buddha era solito dire ai suoi discepoli: “Se avete qualcosa da chiedere, chiedete pure”. Il mattino del giorno in cui sarebbe morto avvenne la stessa cosa, chiamò i suoi discepoli e disse: “Se volete chiedere qualcosa, chiedete pure, r ricordatevi che questo è l’ultimo mattino. Prima che questo giorno finisca, io non ci sarò più”. Lui era lo stesso. Questa era la sua domanda quotidiana al mattino. Lui era lo stesso! Quel giorno era l’ultimo, ma lui era lo stesso. Proprio come in un qualunque altro giorno, disse: “Ebbene, se avete qualcosa da chiedere, chiedetelo pure, ma sappiate che questo è l’ultimo giorno”. Non c’era alcun cambiamento nel tono, ma i discepoli cominciarono a piangere. Si dimenticarono di chiedere alcunché. Il Buddha disse: “Perché piangete? Se aveste pianto in un altro giorno, non sarebbe importato, ma questo è l’ultimo giorno. Stasera non ci sarò più, perciò non perdete tempo piangendo. Un altro giorno non sarebbe importato; avreste potuto perdere tempo. Ora non perdete tempo piangendo. Perché piangete? Chiedete quanto avete da chiedere”. Era lo stesso nella vita e nella morte. Perciò in terzo luogo, l’uomo che ha realizzato il Sé è a suo agio: la vita e la morte sono la stessa cosa, beatitudine e infelicità sono la stessa cosa. Nulla lo turba; nulla lo rimuove da casa sua, dal suo essere centrato. A un uomo simile non puoi aggiungere nulla. Non puoi togliere nulla, e non puoi aggiungergli nulla. E’ realizzato. Ogni suo respiro è un respiro realizzato: silenzioso, colmo di beatitudine: Hai raggiunto la meta. Hai raggiunto l’esistenza, l’essere. E’ fiorito come uomo totale. Questa non è una fioritura parziale. Il Buddha non è un grande poeta. Naturalmente tutto quanto dice è poesia. Non è affatto un poeta, ma è poesia persino se si muove, se cammina. Non è un pittore, ma diventa una pittura tutte le volte che parla, qualunque cosa dica. Non è un musicista, ma il suo intero essere è musica per eccellenza. L’uomo come totalità è realizzato. Perciò ora, qualunque cosa faccia o non faccia, quando è seduto in silenzio, senza fare nulla, persino in silenzio la sua presenza lavora, crea: diventa creativa. Il Tantra non si occupa di alcuna crescita parziale, si occupa di te come essere totale. Perciò tre cose sono fondamentali: devi essere centrato, radicato,equilibrato, vale a dire, sempre nel mezzo… ovviamente, senza alcuno sforzo. Se c’è uno sforzo non sei in equilibrio. Devi essere a tuo agio, a tuo agio nell’universo, a casa tua nell’esistenza, e poi molte cose seguiranno. Questo è un bisogno fondamentale perché, a meno che questo bisogno non venga soddisfatto, sei un uomo solo di nome, sei un uomo come possibilità, non lo sei realmente. Puoi esserlo; ne hai la potenzialità. Ma la potenzialità deve essere attuata. La seconda domanda: “Per favore spiegaci che cosa sono la contemplazione, la concentrazione e la meditazione”. Contemplazione significa pensiero indirizzato. Noi tutti pensiamo, ma questo non equivale a contemplare. Questo pensare non è indirizzato, è vago, non porta da nessuna parte. In realtà il nostro pensare non è contemplazione, ma quello che i freudiani chiamano “associazione”. Un pensiero porta a un altro senza che venga diretto da te. E’ il pensiero stesso ad agire a causa dell’associazione. Vedi un cane attraversare la strada e, non appena lo vedi, cominci a pensare ai cani. Il cane ti ha portato a questo pensiero, e subito la mente opera molte associazioni. Da bambino avevi paura di un certo cane: ti viene in mente quel cane e anche l’infanzia. Poi i cani vengono dimenticati, quindi inizi a sognare a occhi aperti della tua infanzia, solo per associazione. Poi l’infanzia continua a essere collegata con altre cose, e tu ti muovi in tondo. Quando sei a tuo agio, cerca di ritornare da ciò che stai pensando all’origine dei pensieri. Torna indietro, ritorna sui tuoi passi e vedrai che c’era un altro pensiero che ti aveva portato a questo. E non sono connessi logicamente, perché in cosa un cane sulla strada si correla con la tua infanzia? Nella tua mente non c’è connessione logica, ma solo associazione. Se fossi stato io ad attraversare la strada, lo stesso cane non mi avrebbe portato alla mia infanzia. Mi avrebbe condotto da qualche altra parte. Una terza persona sarebbe stata condotta verso qualcos’altro ancora. Ognuno ha catene di associazioni nella propria mente e ogni avvenimento, ogni incidente conduce alla propria catena. Di conseguenza la mente comincia a funzionare come un computer: una cosa conduce a un’altra e a un’altra ancora, e tu continui e durante tutto il giorno non fai che quello. Scrivi su un foglio tutto ciò che ti passa per la mente, onestamente; rimarrai stupito di ciò che avviene nella tua mente. Non c’è alcuna relazione tra due pensieri, e tu continui a pensare in questo modo. Questo lo chiami pensare? Questo è solo associazione di un pensiero con un altro, e uno porta all’altro… tu sei condotto. Il pensiero diventa contemplazione non quando si muove tramite le associazioni, ma quando è diretto. Stai lavorando su un problema ed escludi tutte le associazioni. Ti muovi solo nell’ambito di quel problema: focalizzi la tua mente. La mente cercherà di fuggire da un sentiero laterale, da una via laterale a una qualche associazione: tu escludi tutte le vie laterali e indirizza la tua mente su una sola strada. Uno scienziato che sta lavorando su un problema è in contemplazione. Un logico, un matematico che sta lavorando su un problema è in contemplazione. Un poeta contempla un fiore: l’intero mondo viene tagliato fuori, e rimangono solo il fiore e il poeta, e lui si muove con il fiore. Molte cose l’attraggono dalle vie laterali, ma lui non permette alla sua mente di muoversi minimamente. La mente si muove su di una sola linea, indirizzata. Questa è la contemplazione. La scienza è basata sulla contemplazione. Ogni pensiero logico è contemplazione: il pensiero è indirizzato, il pensiero è guidato. Il pensiero ordinario è assurdo. La contemplazione è logica razionale. Poi viene la concentrazione: concentrazione è restare su un punto solo. Non è pensiero; non è contemplazione. E’, in realtà, essere su un punto solo senza permettere affatto alla mente di muoversi. Nel pensiero ordinario la mente si muove come una pazza. Nella contemplazione questa pazza viene condotta, indirizzata; non può fuggire da nessuna parte. Nella concentrazione non si permette alla mente di muoversi; nel pensiero ordinario, le è permesso di muoversi ovunque; nella contemplazione le viene permesso di muoversi solo in alcuni posti; nella concentrazione non le viene affatto permesso di muoversi. Le si permette di essere solo in un unico punto. Tutta l’energia, tutto il movimento, si ferma, si fissa su un unico punto. La concentrazione riguarda lo yoga, il pensiero non indirizzato l’uomo comune, il pensiero indirizzato la mente scientifica. La mente yogica ha il suo pensiero focalizzato, fissato in un punto solo: non le viene permesso alcun movimento. Poi c’è la meditazione. Nel pensiero ordinario si permette alla mente di muoversi ovunque, nella contemplazione ciò le è permesso in una sola direzione: tutte le altre sono escluse. Nella concentrazione non le viene permesso di muoversi neppure in una sola direzione. Le viene permesso solamente di concentrarsi su un unico punto. E nella meditazione non si permette alla mente neppure di esistere. La meditazione è nonmente. Questi sono i quattro stadi: pensiero ordinario, contemplazione, concentrazione, meditazione. La meditazione significa nonmente: neppure la concentrazione è permessa. Alla mente non viene permesso neppure di esistere! Questa è la ragione per la quale la meditazione non può essere afferrata dalla mente. La concentrazione è ancora alla portata della mente, vi può ancora accedere. La mente può comprendere la concentrazione, ma non la meditazione. In verità, in essa non si permette alla mente neppure di esistere. Nella concentrazione si permette alla mente di essere in un punto solo: nella meditazione le viene sottratto persino quel punto. Nel pensiero ordinario tutte le direzioni sono aperte. Nella contemplazione è aperta una direzione sola. Nella concentrazione è aperto solo un punto – nessuna direzione. Nella meditazione non è aperto neppure quel punto: non si permette alla mente neppure di esistere. Il pensiero ordinario è lo stato ordinario dalla mente, e la meditazione è la sua più alta possibilità. La più bassa è il pensare ordinario, l’associazione e la più alta, il culmine, è la meditazione, la nonmente. E con la seconda domanda si chiede inoltre: “La contemplazione e la concentrazione sono processi mentali. Come possono dei processi mentali essere utili per raggiungere uno stato di non-mente?”. La domanda è significativa. La mente si chiede come la mente possa andare al di là della mente. Come può qualunque processo mentale essere utile per raggiungere qualcosa che non appartiene alla mente? Sembra contraddittorio. Come può la tua mente cercare, fare degli sforzi per creare uno stato che non le appartiene? Cerca di capire. Quando c’è la mente, cos’è che esiste? Un processo di pensiero. Quando c’è la nonmente, cos’è che esiste? Nessuno processo dei pensiero. Se continui a ridurre il tuo processo mentale se continui a dissolvere il tuo pensiero, gradatamente, lentamente, raggiungi la nonmente. Mentre significa pensare, nonmente significa non pensare. E la mente ti può essere d’aiuto, può rendersi utile suicidandosi. Puoi suicidarti, ma non ti chiedi mai come un uomo vivo possa aiutare se stesso a essere morto. Tu puoi aiutarti a essere morto: tutti tentano di farlo! Tu puoi aiutare te stesso a essere morto, e sei vivo. La mente può aiutare a essere nonmente. Come può farlo? Se il processo di pensiero diventa sempre più denso, significa che stai procedendo dalla mente a una mente maggiore. Se il processo di pensiero diventa meno denso, se viene ridotto, rallentato, stai aiutando te stesso a raggiungere la nonmente. Dipende da te. E la mente può essere un aiuto perché, in realtà, essa è ciò che in questo stesso istante stai facendo con la tua consapevolezza. Se lasci la tua consapevolezza sola, senza farne nulla, diventa meditazione. Perciò ci sono due possibilità: una è ridurre la mente lentamente, gradualmente, piano piano. Se viene diminuita dell’uno per cento, dentro di te hai mente per il novantanove per cento e nonmente per l’uno per cento. E’ come se avessi portato dei mobili fuori dalla stanza: lì si è creato un po’ di spazio. Sposta altri mobili, e si crea uno spazio maggiore. Quando li hai tolti tutti, l’intera stanza diventa uno spazio vuoto. In realtà lo spazio non si è creato spostando i mobili: lo spazio c’era già, ma era occupato dai mobili. Quando li togli, lo spazio non entra dall’esterno: c’era già, ma occupato dai mobili. Tu li hai tolti, e lo spazio viene riacquistato, recuperato. Giù, nel profondo, la mente è uno spazio occupato, riempito di pensieri. Se togli un po’ di pensieri, si crea, viene scoperto o recuperato dello spazio. Se continui a togliere i tuoi pensieri, un po’ alla volta riacquisti il tuo spazio. Questo spazio è meditazione. Può esser fatto lentamente, ma anche improvvisamente. Non c’è alcun bisogno di continuare a togliere i mobili per vite intere, un po’ alla volta, perché si creano problemi. Quando togli i mobili si crea l’un per cento di spazio mentre il novantanove per cento rimane occupato. Quel novantanove per cento di spazio occupato si sentirà a disagio per quello spazio non occupato e cercherà di riempirlo. Perciò una persona continua a ridurre i pensieri gradualmente e poi a creare ancora nuovi pensieri. Al mattino ti siedi a meditare per un po’ di tempo: rallenti il tuo processo di pensiero. Poi vai al mercato e c’è un nuovo afflusso di pensieri: lo spazio viene riempito di nuovo. Il giorno dopo rifai la stessa cosa, e continui a farla, continui a scacciare fuori e a invitare di nuovo dei pensieri. Ma puoi anche buttare fuori all’improvviso tutti i mobili. Sta a te decidere. E’ difficile perché ti sei abituato ai mobili e potresti sentirti a disagio, non sapresti cosa fartene dello spazio. Potresti persino aver paura di muoverti in quello spazio. Non ci siamo mai mossi con tale libertà. La mente è un condizionamento. Ci siamo abituati ai pensieri. Hai mai osservato – o se non l’hai osservato, allora osservalo – che continui a ripetere gli stessi pensieri ogni giorno? Sei come un disco, e neppure uno appena uscito, nuovo, sei un disco vecchio. Vai avanti a ripetere le stesse cose. Perché? A che cosa serve? Serve solo a una cosa, è solo una vecchia abitudine: senti che stai facendo qualcosa. Sei sdraiato sul letto e stai aspettando che ti venga sonno e ripeti le stesse azioni ogni giorno. Perché lo fai? In un certo senso serve. Le vecchie abitudini, i condizionamenti, servono. Un bambino ha bisogno di un giocattolo. Se gli viene dato, si addormenterà; a quel punto glielo puoi togliere. Ma se il giocattolo non c’è, il bambino non riesce ad addormentarsi. E’ un condizionamento. Non appena gli viene dato il giocattolo, nella sua mente scatta qualcosa. Ora è pronto per addormentarsi. Lo stesso avviene per te. I giocattoli possono essere differenti. C’è chi non riesce ad addormentarsi se non comincia a cantare: “Rama, Rama, Rama…”. Non riesce ad addormentarsi! Questo è un giocattolo. Se canta: “Rama, Rama, Rama…”, gli viene dato il giocattolo, riesce ad addormentarsi. Fai fatica ad addormentarti in un stanza nuova. Se sei abituato a dormire con particolari indumenti, ne avrai bisogno ogni giorno. Gli psicologi dicono che, se dormi in camicia da notte e non ti viene data, farai fatica ad addormentarti. Perché? Se non hai mai dormito nudo e ti viene detto di dormire nudo, non ti sentirai a tuo agio. Perché? Non c’è alcuna relazione tra la nudità e il sonno, ma per te una relazione c’è, una vecchia abitudine. Con le vecchie abitudini ci si sente a proprio agio, comodi. Anche gli schemi mentali sono solo abitudini. Ti senti comodo – lo stesso pensiero ogni giorno, la stessa routine; senti che tutto va bene. Tu hai investito nei tuoi pensieri: questo è il problema. I tuoi mobili non sono solo spazzatura che va gettata; in essi hai investito moltissimo. Tutti i mobili possono essere gettati via immediatamente: può esser fatto! Esistono metodi immediati dei quali parleremo. Puoi essere liberato di tutto il tuo mobilio mentale immediatamente, in questo stesso istante, ma allora all’improvviso sarai vuoto, svuotato, e non saprai più chi sei. Non saprai più che cosa fare perché, per la prima volta, non ci saranno più i tuoi vecchi modelli. Lo shock potrebbe essere troppo improvviso. Potresti impazzire o persino morire. Questa è la ragione per la quale i metodi improvvisi non vengono usati, a meno che una persona non sia pronta. Una persona può impazzire all’improvviso perché le vengono a mancare tutti gli ormeggi. Il passato cade immediatamente, e quando accade, non puoi concepire il futuro, perché il futuro era sempre stato concepito nei termini del passato. Rimane solo il presente, e tu non sei mai stato nel presente. Eri nel passato oppure nel futuro. Perciò quando sei proprio nel presente per la prima volta, ti senti come se fossi diventato pazzo, furioso. Questa è la ragione per la quale i metodi improvvisi non vengono usati a meno che tu non stia lavorando all’interno di una scuola, con un Maestro in un gruppo, a meno che non ti sia completamente consacrato, non abbia dedicato l’intera vita alla meditazione. Perciò i metodi graduali vanno bene. Hanno bisogno di molto tempo, ma un po’ alla volta ti abitui allo spazio. Cominci a sentire lo spazio e la sua bellezza, la sua beatitudine, e allora i tuoi mobili vengono rimossi gradualmente. Quindi è bene diventare contemplativi partendo dal pensiero ordinario: questo è il metodo graduale. Dalla contemplazione è bene concentrarsi: questo è il metodo graduale. E dalla concentrazione è bene fare un salto nella meditazione. Allora ti muovi lentamente, tastando il terreno a ogni passo, e solo quando sei veramente radicato in ogni gradino, solo allora cominci ad andare verso quello successivo. Non è un salto: è una crescita graduale. Dunque queste quattro cose – pensiero ordinario, contemplazione, concentrazione, meditazione – sono quattro gradini. La terza domanda: “Lo sviluppo del centro dell’ombelico è forse esclusivamente libero e separato dalla crescita dei centri del cuore e della testa, oppure il centro dell’ombelico si sviluppa simultaneamente alla crescita del cuore e della testa? Inoltre, per favore spiegaci in cosa differisce l’esercizio per lo sviluppo del centro dell’ombelico da quello del centro del cuore e della testa?”. Una cosa fondamentale deve essere compresa: sono i centri del cuore e della testa che devono essere sviluppati, non il centro dell’ombelico. Il centro dell’ombelico deve solo essere scoperto: non deve essere sviluppato. Il centro dell’ombelico esiste già. Devi svelarlo o scoprirlo. E’ già lì pienamente sviluppato: non devi svilupparlo. Il centro del cuore e il centro della testa sono degli sviluppi. Non esistono per essere scoperti: devono essere sviluppati. La società, la cultura, l’educazione, i condizionamenti ti aiutano a svilupparli. Ma tu sei nato con un centro dell’ombelico; senza, non puoi esistere. Senza il centro del cuore, senza il centro della testa puoi esistere: non sono necessari; è meglio averli, ma puoi esistere anche senza. Tuttavia senza i centro dell’ombelico non puoi esistere. Non è una necessità: è la tua vita, Perciò ci sono delle tecniche per sviluppare il centro del cuore, per far crescere l’amore, per crescere in sensibilità, per diventare una mente più sensibile. Ci sono metodi e tecniche per diventare più razionali, più logici. La ragione può essere sviluppata, le emozioni possono essere sviluppate, ma l’esistenza non può essere sviluppata. C’è già; deve solo essere scoperta. In questo sono implicate molte cose. Primo: per te potrebbe essere impossibile avere una mente, una facoltà raziocinante, come Einstein. Tuttavia puoi diventare un Buddha. Einstein è un centro della mente che funziona alla perfezione. Oppure qualcun altro… un amante, un Majnu, funziona nel suo centro del cuore in modo perfetto. Tu puoi non esser in grado di diventare un Majnu, ma puoi diventare un Buddha perché la buddhità non deve essere sviluppata in te: c’è già . Ha a che fare con il centro fondamentale, il centro originario, l’ombelico. C’è già! Sei già un Buddha, ma solo inconsapevole. Tu non sei già un Einstein. Dovresti cercare di esserlo, e anche allora non ti sarebbe garantito il successo. Non c’è alcuna garanzia perché, in realtà, sembra impossibile. Come mai sembra impossibile? Perché la testa di Einstein per svilupparsi avrebbe bisogno della stessa crescita, dello stesso ambiente, della stessa educazione che vennero dati a lui. Tutto ciò non può essere ripetuto perché è irripetibile. Dovresti ritrovare innanzitutto dei genitori identici, perché l’educazione comincia nel ventre materno. E’ difficile trovare genitori identici, impossibile. Come puoi trovare genitori identici, la medesima data di nascita, l’identica casa, gli stessi parenti, gli stessi amici? Dovresti ripetere esattamente la vita di Einstein – identica! Se mancasse anche un solo punto, saresti un uomo diverso. Perciò è impossibile. Un individuo nasce una volta sola in questo mondo perché la stessa situazione non può essere ripetuta. La stessa situazione è un fenomeno talmente grande! Significa che ci dovrebbe essere lo stesso mondo nello stesso istante! Non è possibile: è impossibile. E tu ci sei già, perciò qualunque cosa tu faccia, il tuo passato sarà implicito. Non puoi diventare un Einstein. L’individualità non può essere ripetuta. Il Buddha non è un individuo, è un fenomeno. Nessun fattore individuale ha senso, il tuo essere è sufficiente per essere un Buddha. Il centro c’è già e funziona: devi solo scoprirlo. Perciò le tecniche per sviluppare il cuore sono tecniche per sviluppare qualcosa, e le tecniche che riguardano l’ombelico si occupano della scoperta. Devi scoprire, svelare. Sei già un Buddha: devi solo venire a conoscenza. Perciò ci sono due tipi di persone: i Buddha che sanno di essere dei Buddha e i Buddha che non sanno di essere dei Buddha. Ma tutti sono dei Buddha. Per quanto riguarda l’Esistenza, tutti sono uguali. Il comunismo esiste solo nell’esistenza, in ogni altra cosa è assurdo. Nessuno è uguale, la diversità è fondamentale in ogni cosa. Perciò apparirà come un paradiso se dico che solo le religioni portano al comunismo, ma intendo questo comunismo: questa profonda uguaglianza dell’esistenza, dell’essere. In questo sei uguale al Buddha, a Cristo, a Krishna, ma in nessun altro modo due individui sono uguali. La diversità è fondamentale per quanto riguarda la vita esteriore; l’uguaglianza è fondamentale per quanto riguarda la vita interiore. Quindi questi centododici metodi in realtà non sono fatti per sviluppare il centro dell’ombelico, ma per scoprirlo. Questa è la ragione per la quale talvolta un individuo diventa istantaneamente un Buddha: perché non si tratta di creare qualcosa. Se riuscirai a guardare in te stesso, a penetrare profondamente in te stesso, tutto ciò di cui hai bisogno c’è già: è già una situazione di fatto, perciò l’unico problema sta nel come essere gettati in quel punto dove sei già un Buddha. La meditazione non ti aiuta a essere un Buddha, ti aiuta solo a diventare consapevole della tua buddhità. Ancora una domanda: “Tutti gli illuminati sono centrati nell’ombelico? Per esempio, Krishnamurti è centrato nell’ombelico o nella testa? Ramakrishna era centrato nell’ombelico o nel cuore?”. Ogni illuminato è centrato nell’ombelico, ma l’espressione di ogni illuminato può fluire attraverso altri centri. Si può fluire attraverso altri centri. Vedi di capire chiaramente la distinzione. Ogni illuminato è centrato nell’ombelico; non c’è nessun’altra possibilità. Ma l’espressione è diversa. Ramakrishna si esprime con il cuore. Usa il cuore come veicolo del suo messaggio. Tutto ciò che ha trovato nell’ombelico lo esprime attraverso il cuore. Canta, danza: questo è il suo modo di esprimere la sua beatitudine. La beatitudine si trova nell’ombelico, da nessun’altra parte. Lui è centrato nell’ombelico. Ma come dire agli altri che è centrato nell’ombelico? Per esprimerlo usa il cuore. Krishnamurti usa la testa: ecco perché le loro espressioni sono contraddittorie. Se credi in Ramakrishna non puoi credere in Krishnamurti. Se credi in Krishnamurti non puoi credere in Ramakrishna perché credere è sempre centrato nell’espressione, non nell’esperienza. Ramakrishna appare infantile a un uomo che pensa con la ragione. “Che cosa sono queste stupidaggini: danzare, cantare? Che cosa sta facendo? Il Buddha non ha mai danzato, e questo Ramakrishna sta danzando. Sembra infantile.” Alla ragione il cuore appare sempre infantile, ma al cuore la ragione appare inutile, superficiale. Qualunque cosa dica Krishnamurti, è la stessa cosa, è la stessa esperienza di Ramakrishna, di Chaitanya o di Mira. Ma se la persona è centrata nella testa, la sua spiegazione, la sua espressione, è razionale. Se Ramakrishna vedesse Krishnamurti, direbbe:”Vieni e danziamo. Perché perdere il nostro tempo? Attraverso la danza può essere espresso più facilmente, e penetra più in profondità”. Krishnamurti direbbe: “Danzare? Ci si ipnotizza attraverso la danza. Non danzare. Analizza! Ragiona! Esamina, analizza, sii consapevole”. Questi sono centri diversi usati per l’espressione, ma l’esperienza è la stessa. Si può dipingere l’esperienza. I Maestri Zen hanno dipinto la propria esperienza. Quando si illuminavano la dipingevano. Non dicevano nulla, la dipingevano e basta. I rischi, i saggi delle Upanishad hanno creato poesia bellissima; quando si illuminavano creavano poesia. Chaitanya era solito danzare; Ramakrishna era solito cantare. Il Buddha e Mahavira usavano la testa, la ragione, per spiegare, per dire tutto ciò di cui avevano fatto esperienza. Crearono grandi sistemi di pensiero per esprimere la propria esperienza. Ma l’esperienza non è né razionale né emozionale: è al di là si entrambi. Sono esistite poche persone, pochissime, che potevano esprimersi attraverso entrambi i centri. Puoi trovare molti Krishnamurti, puoi trovare molti Ramakrishna; ma raramente capita che una persona riesca a esprimersi attraverso entrambi i centri. Allora quella persona disorientata. Non sei mai a tuo agio con quell’uomo perché non riesci a concepire alcuna relazione tra i due centri: sembrano contradditori. Se io dico qualcosa, quando la dico devo comunicarla attraverso la ragione. Così attraggo molti razionalisti, orientati verso la testa. Poi, un giorno, vedono che io permetto che si canti e si danzi, dunque si sentono a disagio. “Che cosa è mai questo? Non c’è alcuna relazione…”. Ma per me non c’è alcuna contraddizione. Anche danzare è un modo di parlare, e a volte un modo più profondo. Anche la ragione è un modo di parlare, e a volte un modo molto chiaro. Perciò sono entrambi modalità di espressione. Se vedi un Buddha danzare, sarai in difficoltà. Se vedi Mahavira suonare il flauto, ritto in piedi nudo, non riuscirai più a dormire. Che cosa è successo a Mahavira? E’ forse impazzito? Con Krishna il flauto va benissimo, ma è assolutamente incredibile con Mahavira. Un flauto in mano a Mahavira? Inconcepibile! Non riesci neppure a immaginarlo. Ma la ragione non è che ci sia una contraddizione tra Mahavira e Krishna, tra il Buddha e Chaitanya: la causa è una differenza di espressione. Il Buddha attrarrà un particolare tipo di mente, la mente orientata verso la testa, Chaitanya e Ramakrishna attraverso proprio l’opposto, la mente orientata verso il cuore. Ma sorgono delle difficoltà: una persona come me crea delle difficoltà. Io attraggo entrambi i tipi di mente, perciò nessuno è a proprio agio, perché ogni volta che parlo, la persona orientata verso la testa si sente a proprio agio, ma comincia a sentirsi a disagio quando permetto l’altro tipo di espressione. E lo stesso capita alla persona orientata verso il cuore. Quando viene usato un metodo emozionale, la persona orientata verso il cuore si sente a proprio agio, ma quando discuto, quando ragiono e sviluppo un argomento, quella persona si estranea, non è più presente. Dice; “Questo non fa per me”. Proprio ieri è venuta una donna e mi ha detto: “Ero al monte Abu, ma è sorta una difficoltà. La prima giornata che ti ho sentito parlare era meraviglioso. Mi attraeva; ero proprio emozionata. Ma poi ha visto i Kirtan – i canti devozionali e le danze – perciò ho deciso di andarmene immediatamente; non faceva per me. Sono andata alla stazione degli autobus, ma è sorto un problema: volevo sentirti parlare, quindi sono tornata indietro. Non volevo perdermi quello che avresti detto”. Doveva essersi trovata in difficoltà. Mi ha detto: “Era così contraddittorio”. Sembrava così perché questi centri sono contradditori, e questa contraddizione è in te. La tua mente non si sente a suo agio con il tuo cuore: sono in conflitto. A causa del tuo conflitto interno, Ramakrishna e krishnamurti sembrano in conflitto. Crea un ponte tra la testa e il cuore, e saprai che questi sono solo dei mezzi. Ramakrishna era assolutamente analfabeta: in lui non c’era alcun sviluppo della ragione. Era puro cuore. Solo un centro era sviluppato, il cuore. Krishnamurti è pura ragione. Era nelle mani di alcuni tra i più forti razionalisti – Annie Besant, Leadbeater e i teosofisti. Sono stati tra i maggiori creatori di sistemi nel ventesimo secolo. In realtà, la teosofia è uno dei più grandi sistemi mai creati assolutamente razionali. Krishnamurti fu educato da razionalisti; è pura ragione: anche quando parla di cuore e di amore, l’espressione stessa è razionale. Ramakrishna è diverso. Anche se parla di ragione, è assurdo. Totapuri andò da lui e cominciò a insegnargli il Vedanta, ma gli disse: “Abbandona tutte queste stupidaggini devozionali. Abbandona questa Kali, la Madre, radicalmente. A meno che tu non abbandoni tutto questo, non ti insegnerò nulla, perché il Vedanta non è devozione. E’ conoscenza”. Ramakrishna disse: “Va bene, ma dammi un secondo così che possa andare a chiedere alla Madre se posso lasciare tutto, tutte queste stupidaggini. Dammi un secondo per chiederlo alla Madre”. Questo è un uomo orientato verso il cuore. Anche per lasciare la Madre dovrà chiedere il permesso. “Inoltre” aggiunse “lei è così colma d’amore, me lo permetterà, perciò non preoccupati.” Totapuri non riuscì a capire ciò che aveva detto. Ramakrishna disse: “E’ così colma d’amore, non mi ha mai detto di no. Se io dico: ‘Madre, devo lasciarti perché sto studiando il Vedanta e non posso adempiere a tutte queste stupidaggini devozionali, perciò dammi il permesso di abbandonare, per piacere’, senz’altro me lo dirà. Mi lascerà totalmente libero”. Crea un ponte tra la testa e il cuore, e tutti coloro che si sono illuminati parleranno della stessa cosa. Solo il loro linguaggio potrebbe essere diverso. Il libro dei segreti Osho


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