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L'osservatore e la cosa osservata sono due aspetti dell'essere testimone.
Quando essi scompaiono l'uno nell'altro, quando si
fondono l'uno nell'altro, quando diventano una cosa sola, per la prima
volta il testimone affiora nella sua totalità.
Ma in molti nasce un interrogativo, in quanto essi pensano che il
testimone sia colui che osserva. Nelle loro menti,
l'osservatore e il testimone sono sinonimi. È un falso: l'osservatore non
è il testimone, ma solo una parte. E quando la parte
si considera il tutto, nasce l'errore.
L'osservatore indica la parte soggettiva, e la cosa osservata quella
oggettiva: osservatore è ciò che è esterno alla cosa
osservata, e questa indica ciò che è all'interno. L'esterno e l'interno
non possono essere separati: sono uniti, possono solo
esistere in quanto unità. Quando questa unità, o meglio questa unione,
viene sperimentata, sorge il testimone.
Non si può coltivare il testimone. In questo caso non si farà che
coltivare l'osservatore, e questi non è il testimone.
Che fare, dunque? Ci si deve fondere, ci si deve dissolvere. Mentre
guardi una rosa, dimentica completamente che esiste un
oggetto visto e un soggetto che guarda. Lascia che la bellezza del
momento, la benedizione del momento, travolgano
entrambe \ le cose, così la rosa e tu non siete più separati; diventate i
un solo ritmo, un canto, un'unica estasi.
Quando ami, quando esperimenti la musica, quando osservi un tramonto,
lascia che questo si ripeta. Più si ripete, meglio è,
poiché non si tratta di un'arte ma di un trucco. Devi solo capirlo, e
quando lo hai capito lo puoi mettere in atto ovunque, in
qualsiasi momento.
Quando sorge il testimone, non esiste nessuno che fa il testimone e non
esiste una cosa di cui si ha testimonianza. È uno
specchio limpido, che non rispecchia nulla. Perfino dire che si tratta di
uno specchio, non è giusto; sarebbe meglio dire che
si tratta di un rispecchiare. E meglio dire che si tratta di un processo
dinamico di fusione e dissolvenza; non è un fenomeno
statico, è un flusso. La rosa ti raggiunge e tu entri in lei: è una
condivisione dell'essere.
Non pensare che il testimone sia colui che osserva: non lo è.
L'osservazione può essere praticata, l'essere testimone accade.
L'osservazione è una sorta di concentrazione, e l'osservare ti mantiene
separato. L'osservatore darà risalto al suo ego, lo
rafforzerà. Più diventi un osservatore, più ti senti simile a un'isola,
separato, distaccato, distante.
Nel corso dei secoli, i monaci di tutto il mondo hanno praticato
l'esercizio dell'osservazione. Possono anche averlo chiamato
il testimone, ma non lo è.
Il testimone è qualcosa di totalmente diverso, di qualitativamente
diverso. Si può praticare l'osservazione, la si può
coltivare; la si può migliorare con l'esercizio.
Gli scienziati osservano, i mistici sono testimoni. La scienza si basa
sull'osservazione: è un'osservazione estremamente
penetrante, affilata, acuta, nulla deve sfuggirle. Tuttavia, lo
scienziato non arriva a conoscere Dio. Sebbene la sua
osservazione sia estremamente abile, rimane inconsapevole di Dio. Non lo
incontra mai; al contrario, arriva a negarne
l'esistenza, poiché più osserva — e la scienza si fonda interamente
sull'osservazione — più diventa separata dall'esistenza
stessa. Ogni collegamento si spezza e sorgono mura; lo scienziato resta
prigioniero del proprio ego.
Il mistico testimonia. Ma ricorda: si tratta di un evento, è una
conseguenza. Una conseguenza dell'essere totale in qualsiasi
momento, in qualsiasi situazione, in qualsiasi esperienza. La totalità è
la chiave: dalla totalità sorge la benedizione della
testimonianza.
Dimentica l'osservazione: non farà che darti informazioni più accurate
sul soggetto osservato, ma ti lascerà completamente
ignaro della tua consapevolezza.